Maurizio, dieci anni, passa le sue intere vacanze estive dai nonni, a Cabras, una cittadina di novemila anime in provincia di Oristano.
Le giornate passano
felici tra nascondini, corse a rotta di collo, scherzi tra amici e
storie di fantasmi che durano fino a notte fonda.
Ma durante l’estate
del 1986 persino gli eterni racconti degli anziani del paese si
mettono da parte per far posto alla notizia che sconvolge l’intera
comunità. E’ stata autorizzata la fondazione di una nuova
parrocchia. Nuova chiesa, nuovi locali parrocchiali, nuova divisione
territoriale e nuove appartenenze di riti e di miti.
Per gli abitanti di
Cabras è una rivoluzione improvvisa ed imprevista.
Cominciano
complicate questioni relative alla ripartizione dei confini. Nessuno
dei due parroci sembra voler cedere. Ma la divisione prende il via e
inaspettatamente non tutta la popolazione di Cabras sembra esserne
scontenta. Per una volta gli abitanti delle periferie riescono ad
immaginare di non essere il margine di qualcos’altro.
Ma un altro fatto
ben più importante sconvolge la vita di Maurizio durante
quell’estate. I suoi genitori decidono di trasferirsi a Ferrara per
poter avere un lavoro meglio retribuito e più sicuro. I nonni
insistono per far sì che Maurizio rimanga a vivere con loro, vicino
alla scuola e ai suoi amici. E così è. La vita del ragazzo a Cabras
non è più scandita solamente dalle spensierate giornate estive, ma
ormai è la consuetudine della sua quotidianità.
I pomeriggi con gli
amici di sempre, Franco e Giulio, diventano ormai un’abitudine.
Fino al giorno in cui Franco smette improvvisamente di presentarsi ai
loro incontri. E’ ormai chiaro che l’amico si è definitivamente
“schierato” con la parrocchia avversaria, diventando addirittura
capo dei nuovi chierichetti.
Il culmine della
diatriba tra le due parrocchie arriva il giorno di Pasqua, quando
nessuno delle due fazioni vuole rinunciare alla tradizionale
processione. Il giorno stesso perciò dagli angoli opposti della
città partono due distinte processioni, con a capo dei chierichetti
gli ormai ex amici Maurizio e Franco. Ma saranno proprio loro due a
distendere gli animi tesi per concludere la processione uno di fianco
all’altro , tornando a quel “noi”, che non è solo un pronome,
ma la cittadinanza di una patria tacita dove tutto il tempo condiviso
si declina così, al presente plurale.
Solo 92 pagine. Ma di certo non un libro semplice. Come sempre il linguaggio di Michela Murgia è molto articolato e a volte complesso.
Ogni pagina, ogni
parola mi ha riportato indietro nel tempo, nelle mie estati di
bambina, all’aria aperta, con tutte le sensazioni forti che spesso
vengono dimenticate.
Ma oltre questo non
si va. E’ un libro che risulta un po’ pesante, non riesce a dare
quel pathos che ti spinge a sapere come andrà a finire la storia.
Bel racconto ma
siamo lontani anni luce dalla Murgia di “Accabadora”.
Peccato.
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